Attraverso la lettura del libro, Magnason ci aiuta a comprendere come non sono i cambiamenti climatici in sé a preoccupare, ma la velocità con cui questi avvengono. Nel corso degli anni il pianeta ha sempre avuto i suoi alti e bassi, con l’alternarsi di ere glaciali, ovvero l’avanzamento delle calotte di ghiaccio, ed ere interglaciali, ovvero la regressione di queste ultime. La differenza sta nel fatto che mentre prima questi cambiamenti avvenivano nel corso di decine o centinaia di milioni di anni, ora procedono a passo d’uomo, o, per meglio intenderci, nel corso di una vita umana. Se pensiamo all’Islanda, come terra relativamente giovane, è emblematico il caso del ghiacciaio Okjökull, il quale si ergeva su quasi venti chilometri quadrati di suolo islandese ed è stato il primo ad aver perso lo status di ghiacciaio nell'agosto del 2019. Lo stesso destino spetterà a tutti i ghiacciai islandesi, che nei prossimi duecento anni potrebbero scomparire del tutto.
L’innalzamento del livello del mare, il verificarsi progressivo di catastrofi naturali, come inondazioni che impattano soprattutto sulle aree costiere, e periodi di forte siccità che colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo per ragioni ben ovvie, sono solo alcune delle conseguenze della fusione dei ghiacciai. Infatti questo fenomeno fa aumentare la portata dell’acqua, creando un falso benessere, in quanto l’aumento del volume dei mari spazza via pezzi di terra, costringendo così gli uomini che la abitano ad emigrare. C’è da dire che un maggiore innalzamento delle temperature, dovuto alla fusione dei ghiacciai, comporta anche una maggiore umidità nell’aria e di conseguenza maggiori piogge e nevicate, così come ci insegna il ciclo idrologico. Tuttavia, al netto di questo processo, ogni anno si contano solo ai poli più di 350 gigatonnellate di ghiaccio che si fonde. Inoltre, mentre prima le oscillazioni delle masse glaciali si alternavano nei due emisferi, adesso tutti i ghiacciai stanno recedendo contemporaneamente e a ritmo sostenuto con inenarrabili conseguenze. Come preannunciato non è tutto, dobbiamo anche sapere che i ghiacciai intrappolano un enorme numero di batteri, virus e sostanze tossiche, per la maggior parte vecchie di secoli, che se liberate nell’aria possono essere davvero pericolose, per il pianeta e per l’uomo.
Oltre che un disastro ambientale, è plausibile anche un disastro geopolitico, in quanto a ridosso della catena Himalayana si trovano le più grandi potenze nucleari tra cui Pakistan, India e Cina che, come risaputo, si contendono le più grandi riserve di acqua, il cosiddetto “oro blu”. D’altro canto, le Nazioni Unite lottano ogni giorno per contrastare i cambiamenti climatici con la promozione di interventi come la riduzione degli sprechi alimentari; l’incremento dell’energia eolica e l’elettrificazione dei trasporti; la tutela dei boschi con il ripristino delle zone umide e delle foreste pluviali. Un altro argomento degno di essere citato è quello dell’empowerment femminile che consiste in un processo volto a fare in modo che le donne siano ascoltate, che le loro conoscenze, esperienze e aspirazioni vengano riconosciute e prese in considerazione. Ciò permette loro di partecipare in maniera attiva alla vita sociale, economica e politica soprattutto per quanto concerne alcune decisioni per la lotta al cambiamento climatico. Una tra queste è la piena responsabilità sulle future nascite, motivo per cui è stato creato un movimento che prende il nome di #Birthstrike, letteralmente “sciopero delle nascite”, al fine di salvaguardare la sovrappopolazione, causa di insufficienza di risorse e materie vitali per gli individui.
Certamente il mondo così come lo vediamo oggi è diverso da come lo vedevano i nostri nonni e ancora diverso da come lo vedevano i loro predecessori. A tal proposito Magnason, nello studiolo del nonno, ritrova un vecchio libro scritto da Helgi Valtýsson (1877-1971), poeta romantico e progressista islandese, che raccontava di paesaggi e natura nella forma più pura che si può immaginare: «I deserti interni s'aprono in un ampio abbraccio azzurrino. La loro immobilità induce al silenzio e all'ascolto [...] Estasiato, ascolti il respiro e la tua anima, che per anni avevi dimenticato. Lì avverti per la prima volta la vastità del tuo spirito e resti fermo, stupito, in profondo silenzio, provando un'inesprimibile soggezione per la natura divina della tua anima. La distanza, l'azzurrità dei monti, la grande massa di ghiaccio, il mormorio immenso della quiete: tutto si riflette e riecheggia sotto la cupola del tuo animo, che si espande a toccare cielo e terra, l'intero orizzonte del tuo spirito. E corri con un canto che è un groppo in gola, corda che vibra in quei vasti e silenti spazi divini, e con essi diventi tutt'uno» (p.54).
È chiaro come la purezza dei paesaggi descritta è implicita in quei tempi, e secondo Magnason è difficile, se non impossibile, che qualcun altro possa fare di meglio, poiché la natura cambia, si modifica, ed è sempre più difficile trovarne di incontaminata. Oltre ai paesaggi, anche i loro abitanti subiscono delle trasformazioni, a volte si adattano, altre volte sono destinati ad estinguersi. Negli ultimi anni più che mai la questione riguarda un numero altissimo di specie, la cui estinzione potrebbe portare al collasso l’intero ecosistema. Nel 2019, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, quasi un milione di specie animali è a rischio di estinzione. Tutte queste trasformazioni sono dovute in gran parte all’aumento delle temperature e l’autore, per esprimere al meglio il concetto, paragona la terra all’uomo, immaginando la sua temperatura corporea in costante aumento. Per rendere l’esempio più vivido, basta immaginare di avere la febbre a trentotto ogni giorno, con la spossatezza, l’affanno e tutto ciò che ne consegue: così si sente la Terra oggi. Ciò può essere imputabile alle azioni politiche che aumentano le emissioni di CO2, che vengano esse dalla Cina, dall’America o dall’Europa poco importa. Come sottolinea più volte Magnason, la Terra è una sola ed è tutta collegata, in un modo o nell’altro.
È curioso venire a conoscenza di come l’Islanda possa essere strettamente collegata all’India, geograficamente opposta, un capitolo del libro è dedicato alla scoperta di collegamenti impensabili ma del tutto plausibili: nell’antichità, in Islanda come in India, la mucca era considerata un vero e proprio patrimonio, se ne possedevi una, non potevi morire di fame. Nella mitologia norrena, la vita ha inizio da una mucca di nome Auðhumla; «Auðhumla nutrì Ýmir, il gigante da cui fu creato il mondo. Il suo sangue formò il mare e i laghi, la sua carne la terra, i suoi capelli i boschi e il cervello le nubi. (p. 89)». Lo stesso vale per i testi sacri hindu, secondo i quali la vita ha inizio da una mucca di nome Kamadhenu le cui zampe nell’iconologia rappresentano le vette dell’Himalaya, madri della maggior concentrazione di fonte di vita, collegate attraverso la via del sale al monte Kailash, il monte sacro del Tibet. Interessante è scoprire come mucche e ghiacciai siano tra di loro collegati anche da un punto di vista semantico: ad esempio la parola “kelfa”, che in islandese vuol dire “partorire un vitello”, sta a significare anche il distacco di piccole parti di ghiaccio. Metaforicamente possiamo considerare i ghiacciai come le madri della nostra Terra, allora cosa succederebbe all’uomo se ne restasse privo?